PIATTI TRADIZIONALI DELLA CUCINA ROMANA
La cucina tipica romana è una
delle più saporite e antiche della penisola, caratterizzata da preparazioni
tramandate di generazione in generazione, con ricette tipiche di festività
antiche. Inoltre la tradizione culinaria della zona presenta numerose sostanze
nutritive e pietanze ricche di grassi, proteine e non solo. I piatti della
cultura romana avevano infatti l’obiettivo di sostenere coloro che lavoravano
nei campi tutto il giorno e avevano bisogno di energie ottenute da massimo due
pasti nell’arco della giornata. Molti sono oramai diventati un simbolo di tutta
l’Italia nel mondo intero. Andiamo a vederne alcuni!
Abbacchio a scottadito
In tutta Italia si chiama
agnello, ma nel Lazio il nome ufficiale è abbacchio, termine dialettale
utilizzato per indicare l’animale macellato dopo circa un mese di vita. La
versione “a scottadito” si prepara solitamente con le costolette, servite –
come si intuisce dal nome – ben calde. La carne viene marinata con extravergine
ed erbe aromatiche e poi cotta sulla griglia o una piastra di ghisa per pochi
minuti per lato.
Amatriciana –
Gricia – Cacio e pepe - Carbonara
Quattro paste famosissime, simboli
incontrastati di Roma, che utilizzano come prodotto comune il guanciale al
quale poi si aggiunge il pomodoro per l’amatriciana, parmigiano e pecorino con
un po’ di pepe per la cacio e pepe, una generosa spruzzata di pepe e acqua di
cottura per la gricia e l’uovo, pepe e pecorino per la carbonara. In qualsiasi
caso, due sono i formati generalmente più utilizzati per l’amatriciana:
bucatini o mezze maniche (talvolta, anche i rigatoni); mentre per la cacio e
pepe si prediligono i tonnarelli, e spaghetti o mezze maniche per la carbonara.
Carciofi (alla giudia e alla
romana)
Il carciofo
romanesco è privo di spine e peluria interna; vengono cucinati tradizionalmente
“alla romana”, ovvero farciti con un trito di aglio, mentuccia, pepe nero e
sale, e cotti in un tegame capovolti e ravvicinati tra di loro, coperti fino al
gambo con un mix di olio extravergine d’oliva e acqua. Si cuociono con il
coperchio a fuoco dolce per circa 30 minuti. Altra versione popolare è quella
nata nel ghetto ebraico: i carciofi alla giudia vengono fritti direttamente in
olio bollente, senza pastella o panatura, e venivano consumati in origine alla
fine del digiuno dello Yom Kippur, ricorrenza ebraica che celebra il giorno
dell’espiazione.
Fagioli con le cotiche
Uno dei piatti
tipici delle osterie di una volta, ancora oggi immancabile sulle tavole delle
fraschette dei Castelli Romani, un contorno sostanzioso e saporito a base di
fagioli, pomodoro e cotiche, ovvero la cotenna del maiale, tradizionalmente
aromatizzati con qualche foglia di alloro.
Filetti di baccalà
Ancora un piatto
frutto dell’incontro tra tradizione ebraica e romana: i filetti di baccalà sono
un’istituzione a Roma, preparati in occasione della Vigilia di Natale ma in
realtà reperibili anche durante il resto dell’anno. Il filetto viene immerso
nella pastella (acqua frizzante e farina) e poi fritto in olio bollente: il
risultato è un prodotto croccante, dorato, dal ripieno scioglievole e
succulento. Viene solitamente ordinato come antipasto, ma c’è anche chi sceglie
di consumarlo come cibo da strada, passeggiando per le vie del centro.
Gnocchi alla romana
“Giovedì gnocchi, venerdì ceci e
baccalà, sabato trippa”. Così recita una delle più antiche usanze popolari
romane. Ancora oggi, infatti, in molte osterie tradizionali è facile trovare
gli gnocchi in menu proprio il giovedì, secondo il calendario romano. Nella
versione classica oppure nella variante regionale “alla romana”, ovvero a base
di semolino, latte e sale.
Quinto quarto
Scarto della
macelleria, le interiora degli animali vengono valorizzate al meglio nella
cucina romana, attraverso una serie di ricette gustose. A dare il via alla
tradizione, i “vaccinari” del mattatoio di Testaccio, addetti allo scuoiamento
dei bovini che per primi cominciarono a mangiare questi sottoprodotti che
rappresentavano la loro paga. Fra le ricette più famose, la trippa (al sugo con
mentuccia e pecorino), la coda alla vaccinara (coda di bovino stufata e condita
con salsa di pomodoro e verdure), i rigatoni con la pajata, intestino del
vitellino da latte, la coratella – insieme delle interiora dell’abbacchio – con
i carciofi tipica di Pasqua, il cervello fritto e le animelle di vitello,
ghiandole salivari presenti negli animali più giovani.
Maritozzi
La variante più
conosciuta, oggi, è quella con panna montata, ma la ricetta storica è quella
del maritozzo quaresimale, di pezzatura più piccola e colore scuro, arricchito
con uvetta, pinoli e canditi, uno dei pochi peccati di gola concessi durante il
periodo di digiuno. Una delle leggende più popolari racconta che in epoca
romana questi pani dolci erano il tipico dono per le donne da parte del futuro
marito, chiamato col vezzeggiativo burlesco “maritozzo”. All’interno del dolce,
infatti, veniva spesso inserito un anello o un oggetto d’oro come pegno
d’amore.
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