Il cinema italiano degli anni ’70 ha un carattere ben definito assolutamente diverso da ciò che viene proiettato ai giorni nostri. La cruda realtà delle periferie romane viene messa sotto ai riflettori in questa pellicola grottesca di Ettore Scola, interpretata dal grande Nino Manfredi. Forse non tutti sanno che al tempo, la nostra bella capitale, ospitava delle vere e proprie baraccopoli occupate da cittadini che vivevano nel degrado e nella miseria. Ovviamente, la morale presente tra gli abitanti di questi luoghi non era tra le migliori e nel film assisteremo alle vite dei personaggi caratterizzate da furti, inganni e degrado.
Il film è ambientato nella zona di Monte Ciocci, un
tempo abitata da una grande moltitudine di famiglie in baraccopoli, molti erano
operai che lavoravano nei cantieri di Via Baldo degli Ubaldi e Via Boccea.
Da questo miserabile scenario era possibile vedere la Cupola di San Pietro e
l’Olimpica. La pellicola narra la quotidianità della famiglia Mazzatella,
composta da ben 25 membri tra figli, nipoti e cugini. Giacinto è il
capofamiglia, un rozzo uomo proveniente dalla Puglia che tratta nel peggior
dei modi sia la moglie che i figli. Alcuni membri di questa numerosa famiglia
vanno ogni giorno a lavorare onestamente, altri vivono di piccoli furti e altri
reati. Altra entrata fissa della famiglia è la pensione dell’anziana nonna,
che nonostante sia molto vecchia sembra allenare la sua mente stando tutto il
giorno davanti alla televisione imparando l’inglese. Giacinto, il dispotico
padre, possiede in realtà un milione di lire, risarcimento per l’occhio che
ha perso lavorando. Il protagonista non ha la minima intenzione di metter il
suo denaro a disposizione per aiutare i figli e la moglie, e lo nasconde
ogni giorno minuziosamente in luoghi diversi proprio per evitare che lo
trovino.
L’opera presenta un realismo spietato, crudele. La
guerra tra poveri è quello che caratterizza la trama, nessuno di loro sembra
avere più dell’altro (a parte Giacinto che pur di conservare i suoi soldi
preferisce trattare i propri parenti come bestie), eppure mettono da parte ogni
valore umano pur di raggiungere la ricchezza tanto desiderata. In una
società consumistica come la nostra, che iniziava già ad emergere negli anni
’70, nessuno è salvo dal desiderio della scalata sociale, dalla necessità
di spendere per ciò che si desidera. In un’Italia nel pieno del suo boom
economico i poveri esistono ancora, nei margini delle grandi città i meno
fortunati vengono ancora chiusi in un “ghetto” e costretti a vivere come topi.
Il degrado rappresentato nel film non è solo quello evidente, ma anche quello
interno alla natura umana, perché l’uomo è nato egoista, ma può
scegliere come comportarsi e cosa diventare. In questo triste scenario vediamo
come Giacinto sia odiato da tutti, sia per la sua condotta, che per il
desiderio che hanno gli altri sovrastarlo e prendersi i suoi soldi. I
personaggi hanno quasi perso la loro natura umana, vivono ammassati come
animali da macello, sono schiavi di istinti primitivi e inseguono il sogno
irraggiungibile di ricchezza. La scena finale, dove vediamo Maria
Libera(nipote di Giacinto) incinta fa comprendere allo spettatore che la famiglia
è destinata ad allargarsi e continuerà a vivere nella sua bolla di miseria
e scarsità morale.
Ripercorrendo la storia della nostra città sembra
incredibile che meno di 40 anni fa le persone nelle periferie vivevano nei borghetti,
ovvero queste aree dove erano presenti le baraccopoli. Uno dei più famosi è il Borghetto
Prenestino, che si trovava tra Via Prenestina e la stazione prenestina
nel quartiere Collatino. Il luogo ebbe origine nel 1928, quando
alcune persone rimaste senza casa si trasferirono in alloggi di fortuna.
Tuttavia, gli anni di crescita avvennero dopo la Seconda Guerra Mondiale,
quando persone rimaste senza casa e emigrati provenienti dal Sud Italia
si insediarono lì. In breve tempo il borghetto divenne tra i più popolati di
Roma e secondo il censimento del 1968 erano circa 400 le famiglie che
vivevano in queste condizioni. Nel 1981 il luogo fu demolito, grazie
ai movimenti per la lotta alla casa.
Questo borghetto ovviamente non era l’unico di Roma, un
altro molto famoso è quello dei Parioli. Ospitava persone provenienti
soprattutto dalle regioni meridionali: Puglia, Calabria, Campania, Abruzzo e
Sicilia. Fu solo tra il 1957 e il 1958 che il Comune di Roma
iniziò a sfollare le baraccopoli, a causa della costruzione dell’Olimpico
nel 1960. Con la demolizione dei borghetti, molte persone iniziarono
fortunatamente ad ottenere le case Popolari.
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